Tutti a Napoli hanno sentito parlare almeno una volta del munaciello. Da una vecchia zia alla cena di Natale che giurava di averlo visto, da piccola, quando ancora abitava in quella vecchia casa coi soffitti alti in cui andavi a trovarla felice da bambino perché c’era sempre un biscotto danese ad aspettarti. Dal custode della parrocchia dove giocavi a calcetto, appassionato di leggende, che provava a raccontarla per spaventarvi, inutilmente, quando il pallone cominciava ad arrivare un po’ troppo vicino alle finestre.
Molti giurano di averlo visto, lo raccontano. La sua presenza, vera o presunta, fa parte della cultura popolare di Napoli e la segue generazione per generazione, nascosta tra le infinite altre storie e superstizioni. Il Munaciello, o Monaciello, sarebbe un omuncolo vestito con un saio, di età indefinita, che entrerebbe nelle case della gente con diversi scopi. Seppur gli appassionati di esoterismo lo abbiano identificato come una personificazione del male sulla terra, nella leggenda il Munaciello ha trovato una dimensione sostanzialmente positiva. Sarebbe solito infatti lasciare in dono del denaro agli abitanti delle case in cui appare, a patto che la cosa non sia mai raccontata a nessuno, pena dispetti e molestie notturne.
Diverse sono le teorie alla base della leggenda. La più affermata sostiene che i monacielli non sarebbero altro che i lavoratori dei pozzi d’acqua che, dai palazzi, permettevano di calare i secchi prima dell’invenzione dei sistemi fognari. Quando qualcuno non li pagava, pare si intrufolassero di notte nelle case tramite i cunicoli, sfruttando le loro dimensioni minute, per molestare le donne della casa e fare dispetti, lasciando in cambio qualche moneta se investiti dal senso di colpa.
Un’altra versione della storia racconta che a metà del XV Secolo, la figlia di un mercante, tale Caterina, ebbe una storia d’amore con uno scugnizzo, Stefano. La differenza sociale tra i due avrebbe scatenato il disappunto del ricco mercante al punto che decise di uccidere il giovane. Caterina, per il dolore, si chiuse in convento dove, già incinta di Stefano e accecata dal dolore, partorì un figlio deforme. Il bambino fu accudito dalle suore e vestito sempre con il saio dei trovatelli, anche per coprirgli il volto e permettergli di girare indisturbato per la città. Per le strade dove presto tutti iniziarono a chiamarlo Monaciello e a raccontare avesse dei poteri con i quali aiutasse chi non si facesse influenzare dal suo aspetto.
Quale che sia la vera origine della leggenda, il Munaciello non è un semplice piccoletto dispettoso. E’ una lente d’ingrandimento sulle differenze che da sempre spaccano la città, anche violentemente e sul modo in cui, in ogni caso anche gli ultimi, i deformi, i pulitori di pozzi, riescano a trovare la loro dimensione umana: nella città in cui a nessuno è mai stata negata.
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